Il RUP: da funzionario a professionista degli appalti

Sono trascorsi quasi trent’anni dalla Legge Merloni che ha istituito la figura del RUP negli appalti pubblici. In questo lungo periodo, nonostante numerosi tentativi, il ruolo del responsabile unico del procedimento ancora non ha raggiunto una sua fisionomia. Dal RUP impegnato nella realizzazione di strutture strategiche si passa al RUP che provvede all’acquisto di cancelleria e di strumenti necessari al funzionamento delle stazioni appaltanti.

L’art. 31 del Codice dei contratti prevede che per ogni singola procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione le stazioni appaltanti individuano, nell’atto di adozione o di aggiornamento dei programmi, ovvero nell’atto di avvio relativo ad ogni singolo intervento per le esigenze non incluse in programmazione, un responsabile unico del procedimento per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione. il RUP è nominato con atto formale del soggetto responsabile dell’unità organizzativa, che deve essere di livello apicale, tra i dipendenti di ruolo addetti all’unità medesima, dotati del necessario livello di inquadramento giuridico in relazione alla struttura della pubblica amministrazione e di competenze professionali adeguate in relazione ai compiti per cui è nominato.

Al riguardo le linee guida n. 3/2016 dell’ANAC, indicate come vincolanti dal Consiglio di Stato, stabiliscono requisiti estremamente rigidi. Infatti, seppure la norma generale nulla dica al riguardo, si prevede che si individui il responsabile tra i dipendenti di ruolo addetti all’unità organizzativa inquadrati come dirigenti o dipendenti con funzioni direttive o, in caso di carenza in organico della suddetta unità organizzativa, tra i dipendenti in servizio con analoghe caratteristiche. La varietà di natura ed organizzazione delle stazioni appaltanti non consente spesso di individuare personale con queste di inquadramento. E ciò tralasciando peraltro quanto si prevede sotto il profilo dei titoli e dell’esperienza necessaria che anche sembrano troppo selettivi.

Eppure il RUP è un pubblico ufficiale. Un ruolo che raramente si ricopre con orgoglio. Se poi il legislatore menziona il RUP solo per attribuire nuove responsabilità e minacciare sanzioni (come con il decreto semplificazioni 2020 che impone la durata delle procedure) è evidente che decine migliaia di funzionari e dirigenti pubblici sono lasciati da soli nonostante siano chiamati ad affrontare questioni assai delicate che riguardano una spesa che nel 2021 è stata indicata da ANAC di oltre 190 miliardi di euro. Va infatti ricordato che il decreto legge n. 76/2020 ha previsto, all’art. 2 comma 5, che “per ogni procedura di appalto è nominato un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera”. Orbene, la determinazione è un provvedimento generalmente di competenza del dirigente e non è semplice comprendere come questa attribuzione di poteri si vada a declinare in fase di progettazione e di esecuzione del contratto. Sempre lo stesso decreto ha stabilito, anche in vista dei tempi contingentati del Next Generation EU, una precisa durata delle procedure cui è correlata la sanzione del danno erariale in caso di ritardo (art. 1, comma 1): due mesi per affidamenti diretti, quattro mesi per procedure negoziate sottosoglia e sei mesi per procedure ordinarie.

Lo schema di codice varato il 20 ottobre scorso dal Consiglio di Stato non sembra cambiare l’impostazione della centralità del RUP senza tuttavia riconoscere un sistema di incentivi che rimane di complessa attuazione, rimesso alla contrattazione collettiva e legata prevalentemente alle “funzioni tecniche”, mentre il ruolo viene addirittura scomposto. L’art. 15 prevede che “ferma restando l’unicità del RUP e se il RUP lo richiede, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, ciascuno secondo il proprio ordinamento, nominano, un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento. Le relative responsabilità sono ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, ferme restando le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento del RUP”. Ripartire le responsabilità non le elimina e non pare sufficiente distribuirle per alleggerire il compito del RUP che, a legislazione vigente, già può ricoprire un ufficio che preveda la collaborazione di assistenti.

Onestà, competenza e responsabilità sono le parole chiave per gestire questa delicata fase di cambiamento con il nuovo Codice dei contratti pubblici e l’avvio degli affidamenti nell’ambito del PNRR. Nel 2023 occorrerà aggiudicare in tempi rapidi per raggiungere gli obiettivi del Piano Nazionale evitando che la fretta porti ad affidamenti che, in fase esecutiva, presentino difficoltà o anomalie. Il ricorso alle varianti è già stato più volte stigmatizzato dall’ANAC dalla quale si attende un supporto concreto al sistema degli appalti. I contratti pubblici non possono essere un’appendice alla prevenzione della corruzione come appare attualmente nella bozza di Piano Nazionale Anticorruzione in consultazione.

Risulta sempre più urgente mettere in rete questi funzionari degli appalti, per garantire un supporto reciproco ed orientare le politiche in materia di contratti pubblici al fine di valorizzare il capitale umano nell’interesse pubblico. Passare da funzionari a professionisti dei contratti pubblici. I RUP, come categoria, hanno bisogno di ritrovare un vero senso di appartenenza e gli stimoli necessari per affrontare un anno alle porte in cui centinaia di miliardi saranno spesi nell’interesse degli italiani.

Questa sfida potrà essere vinta soltanto attraverso la coesione che negli Stati Uniti, ad esempio, ha portato alla nascita della National Association of State Procurement Officials già dal 1947.

Articolo pubblicato su Lavoripubblici.it

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