Il conflitto d’interesse del RUP

L’introduzione del nuovo codice dei contratti si avvicina ma alcune disposizioni continuano a suscitare ampie discussioni. Tra queste la norma sul conflitto d’interesse rappresenta un’importante novità rispetto alla disciplina vigente. Infatti, in base all’art. 42 del D.Lgs. n. 50 del 2016 “si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. Il personale che versa in tali ipotesi è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico“.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approfondito la materia con le Linee Guida n. 15 del 2019 con le quali ha indicato lo strumento della dichiarazione di assenza del conflitto quale misura di prevenzione della corruzione. L’ANAC ha messo a disposizione una pagina di FAQ sull’argomento, consapevole della rilevanza del conflitto sia nell’ambito dei contratti pubblici sia, più in generale, nella gestione di funzioni pubbliche. Recentemente, dopo aver preso posizione contro la riforma approvata dal Governo Meloni, ha pubblicato un’interessante indagine conoscitiva sull’attuazione delle disposizioni del Codice del 2016, con particolare riferimento all’affidamento diretto.

Ma vediamo cosa dice la disposizione contestata, contenuta nell’art. 16 del testo bollinato esaminato dalle commissioni parlamentari.

Si ha conflitto di interessi quando un soggetto che, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni e ne può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, gli esiti e la gestione, ha direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione.

In coerenza con il principio della fiducia e per preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.

Il personale che versa nelle ipotesi di cui sopra ne dà comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e si astiene dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e all’esecuzione.

La contestazione dell’ANAC riguarda l’inversione dell’onere della prova che contraddice l’impostazione che si è introdotta con la Legge Severino negli ultimi dieci anni in cui c’è una presunzione di “colpa” nell’esercitare una funzione pubblica. La colpevolizzazione della pubblica amministrazione è evidente. Basta fare l’esempio dell’agente sotto copertura per i reati di corruzione introdotto dalla Legge Spazzacorrotti del 2019. Si tratta di uno strumento di investigazione che è ben noto nei reati di associazione a delinquere o nel traffico di stupefacenti. La PA è equiparata dal legislatore ad un’associazione criminale! Da qui l’azione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione protesa a lanciare l’allarme sui delitti contro la PA piuttosto che a favorire una cultura dell’integrità e del merito dove il conflitto d’interessi può essere eliminato rafforzando il senso di appartenenza e la responsabilità di funzionari e dirigenti pubblici.

La disposizione è stata redatta tenendo conto del principio di fiducia descritto dall’art. 2 secondo cui l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.

I RUP sono pienamente coinvolti in questa querelle ed attendono di sapere se la spunterà l’ANAC, che ha dalla sua parte un quadro normativo in cui la disposizione sul conflitto appare fuori contesto, oppure il Governo che a questo punto non potrà esimersi dal mettere mano all’intera materia della lotta alla corruzione, partendo dalla riforma del reato di abuso d’ufficio che proprio nel conflitto d’interessi ha un suo presupposto. Staremo a vedere.

Intanto farà certamente bene alla funzione pubblica eliminare centinaia di migliaia di dichiarazioni di assenza di conflitto (un’ovvietà se l’imparzialità sancita dalla costituzione viene considerata un postulato e non un’eccezione). Tanto il RUP corrotto sarebbe stato il primo a firmarla senza batter ciglia! E poi siamo proprio sicuri che la normativa in vigore preveda lo strumento delle dichiarazioni “negative”?

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