Una riflessione sul RUP al Convegno “Siamo Cultura” organizzato dalla Regione Siciliana il 25 giugno a Palermo.

“Siamo cultura” è il titolo della conferenza promossa dall’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, rappresentato dalla dott.ssa Evelina Di Castro. Un’iniziativa, coordinata con grande passione dalla dott.sa Rossella Sucato, alla quale il presidente di ASSORUP è stato invitato, a riconoscimento del ruolo di divulgazione svolto dall’associazione sin dalla sua fondazione in una materia complessa e strategica come quella degli appalti pubblici.

L’evento ha affrontato diverse prospettive della gestione dei beni culturali (dalla valutazione dei modelli di business alla rendicontazione), tenendo come filo conduttore il riferimento all’intelligenza artificiale ed a quella collettiva. L’esperienza della testata Lavoripubblici.it è stata raccontata dal direttore responsabile ing. Gianluca Oreto. L’intervento del Direttore di ANCE Palermo ha consentito di registrare il punto di vista delle imprese.

Riportiamo il testo della relazione preparata dal Presidente Ricciardi per i partecipanti e poi arricchita dagli spunti offerti dai relatori del convegno.

Tutto è appalto: scuole, ospedali, trasporti, strade… e ogni appalto ha bisogno di un cuore che lo faccia pulsare. Quel cuore è il RUP.

Il mio breve intervento riguarda la “maledizione” del ruolo del RUP, un incarico che troppo spesso è vissuto come un onere aggiuntivo rispetto alle mansioni ordinarie. In una cultura dell’integrità e dello spirito di servizio, dovrebbe invece essere considerato una “benedizione”, un’opportunità per esercitare una professione strategica al servizio della collettività.

Ricordo bene il giorno in cui mi fu affidata la mia prima gara d’appalto: era un’epoca in cui l’obiettivo era semplicemente “aggiudicare”. Oggi, grazie al nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023), l’attenzione si sposta finalmente sulla regolare esecuzione dell’intervento pubblico, come previsto dall’art. 15, comma 5, che affida al RUP la responsabilità del completamento dell’intervento nei tempi stabiliti.

Il valore pubblico di un appalto si genera lì, nella fase esecutiva. Solo allora l’interesse pubblico è soddisfatto, l’impresa appaltatrice è gratificata, il RUP è contento e (forse) incentivato. Sarebbe bello introdurre una “targa commemorativa” o, al momento del taglio del nastro, riconoscere pubblicamente chi quell’opera l’ha vista nascere, dalla programmazione alla consegna ai cittadini.

Eppure, quando si chiede: “Tu sei un RUP?”, la risposta è spesso accompagnata da un sorriso amaro. Mai un “sì” gonfio d’orgoglio. Fare il RUP sembra una maledizione. Perché? Perché nessun dipendente pubblico è RUP di mestiere. Il RUP è un incarico, come ricorda l’art. 15 del Codice, che si aggiunge alle mansioni ordinarie. E ciò che si aggiunge, spesso, pesa.

ASSORUP vuole cambiare questa narrazione. Vuole promuovere una cultura in cui il RUP sia il cuore dell’organismo amministrativo, come il cuore che pompa sangue agli organi per farli funzionare. Gli uffici sono perfetti sulla carta, ma senza il flusso vitale degli appalti, restano inerti. Il RUP è quel cuore. Non può essere nominato di volta in volta: deve diventare una figura professionale autonoma, come l’ufficiale di stato civile nei Comuni.

Per passare dalla “maledizione” alla “benedizione” non basta intervenire sul contratto di lavoro. Serve un cambio culturale. Servono riti, simboli, formazione. Due anni fa, ASSORUP ha celebrato l’11 febbraio la prima Giornata Nazionale del RUP. Quest’anno, eventi in 12 regioni e un’iniziativa senza precedenti al CNEL hanno sancito l’autorevolezza del ruolo, alla presenza di istituzioni come la Presidenza del Consiglio, ANAC, Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Formez.

Ora serve reintrodurre il “giuramento”, rito fondamentale abrogato nel 2001, senza valutarne gli effetti culturali. E serve riconoscere il valore economico del RUP. Gli incentivi sono un dovere, come previsto dall’art. 45 del Codice, che impone l’investimento in formazione. Eppure, a fronte di oltre 1.000 miliardi di euro gestiti dai RUP negli ultimi tre anni, lo Stato ha stanziato solo 5,6 milioni su 400 previsti dall’art. 45 (ossia il 20% del 2% del valore degli appalti). Poco più di 14 euro all’anno per ciascun RUP. Lasciamo ogni commento al lettore.

Se il RUP sbaglia, deve rispondere. Ma se lavora bene, deve essere premiato. Solo così la cultura si sviluppa. E magari, un giorno, vedremo open day universitari per avvicinare i giovani a questo ruolo affascinante che, tra carte e sudore, realizza ciò che serve alla gente.

Infine, per riprendere il filo conduttore del convegno, l’intelligenza artificiale potrà sostituire le capacità tecniche ma non potrà portare la passione e l’entusiasmo che solo le persone possono trasmettere nei progetti, come lo sportello multidisciplinare che è stato inaugurato per semplificare davvero il lavoro di RUP ed imprese.


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